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Lecce: Alla Biblioteca Bernardini La Musica della Shoah

27 gennaio 2025, alle ore 18.00, nella Sala Teatro della Biblioteca Bernardini il Soroptimist Club di Lecce, propone un incontro di riflessione sul tema: “Musica e canti di prigionia. Le orchestre femminili e le musiche nei lager”. Nella serata dopo l’intervento introduttivo della presidente del Soroptimist Club Lecce, Mariacristina Solombrino, gli interventi della professoressa Mariacarla De Giorgi, docente di Musicologia di Unisalento, della professoressa Anna Rita Gabellone, docente di Storia delle dottrine politiche di Unisalento, del direttore del Polo Biblio-museale di Lecce Luigi De Luca e del professore Ubaldo Villani Lubelli docente di Steoria delle Istituzioni politiche di Unisalento.

A seguire alle ore 20.00, nella Sala del Chiostro 500, nell’ambito della mostra fotografica “Io ti ricordo. 80 anni da Auschwitz”, realizzata da Flavio Massari, visitabile alla Biblioteca Bernardini fino al 10 febbraio, il Fondo Verri presenta “Viaggio klezmer. Le sonorità ebraiche dall’origine al rinnovamento”. Letture di Simone Franco e Piero Rapanà, suoni di Samuel Mele, Vincenzo Grasso, Daria Falco e Bruno Galeone.

Note sui temi della serata

Musica e canti di prigionia. Le orchestre femminili e le musiche nei lager”

La musica nei campi di concentramento fu “un miracolo nella tragedia”, così la definisce Francesco Lotoro, pianista pugliese che dal 1989 raccoglie in tutto il mondo le musiche composte da deportati e prigionieri tra 1933 e 1953. “Dalla musica amatoriale alle grandi esecuzioni con musicisti professionale – racconta – nei campi di concentramento e di prigionia si è sempre fatta tantissima musica, di ogni tipo e di ogni qualità. A seconda delle aree può cambiare la tipologia di strumenti disponibili o la possibilità di suonare insieme, ma in qualsiasi contesto, dai campi dell’Asse ai Gulag sovietici, si suona, si realizzano teatri, si sviluppa il cabaret. Si riescono anche ad assemblare compagini orchestrali importanti per l’esecuzione di programmi sinfonici e opere liriche”. In questo contesto la produzione femminile trova una propria specificità: “Se la musica maschile, nell’impostazione classica occidentale, tende privilegiare la figura del compositore che tale rimane anche nel campo, e questo vuole dire anche arrangiatori, istrioni, responsabili di compagini di musica popolare… nel caso della musica femminile c’è invece una forte natura collettiva e comunitaria del fare musica al punto che spesso si può parlare di “donne compositrici” che danno vita a brani in cui è impossibile individuare le singole mani”».

Viaggio klezmer. Le sonorità ebraiche dall’origine al rinnovamento”.

Il termine “klezmer” deriva dall’ebraico “kley zemer” («strumento musicale»), introdotto negli Anni Trenta del Novecento per indicare i musicisti di origine ebraica fu poi esteso al genere musicale tradizionale delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, diffuso in tutto il mondo a seguito delle migrazioni dei gruppi. La prima grande diffusione del genere klezmer si ebbe con l’ondata migratoria dall’Europa verso gli Stati Uniti, rafforzata poi durante la Seconda guerra mondiale dagli Ebrei sfuggiti alle persecuzioni razziali. Nei decenni seguenti, il repertorio klezmer sopravvisse, spesso con difficoltà, nella pratica dei musicisti ebrei, con reciproche influenze con il rock, il blues, il jazz, successivamente sull’onda del fenomeno della world music si è diffuso anche in Europa. Il klezmer è caratterizzato da una commistione di generi e destinata ad accompagnare la danza e l’ascolto, fa uso di modalità specifiche prevalentemente della sfera minore e di schemi ritmici spesso irregolari. L’organico, dapprima limitato a violino, clarinetto, cetra, è divenuto in seguito molto variabile e può comprendere fisarmonica, fiati e ottoni, percussioni, sezioni di archi, in alcuni casi anche voci, sebbene il genere rimanga per definizione strumentale.

Io ti ricordo – 80 anni da Auschwitz”
Reportage di Flavio Massari, a cura di ARCI e dell’Associazione Lecce77
in collaborazione con il Polo Biblio-museale di Lecce.

Il reportage, che dà corpo alla mostra è stato realizzato nel corso di un viaggio dell’autore, in Polonia, nel Campo di Auschwitz, con Il Treno della Memoria ed esplora l’assurda perfezione di quel “paesaggio” studiato e pianificato a tavolino per lo sterminio di Ebrei, dissidenti politici, Rom, omosessuali. Il luogo in cui ha governato “la geometria dell’orrore”, scrive il giornalista Raffaele Gorgoni, in una nota in cui racconta le cinquanta fotografie in bianco e nero che compongono la mostra. “Edifici perfettamente allineati. Binari paralleli. Lunghe catenarie di filo spinato. Anche gli alberi sono disposti in file regolari. Solo qualche torretta di sorveglianza mostra i segni del tempo. Potrebbero essere opifici, industrie, stabilimenti, officine, fabbriche se non fossero l’infrastruttura dello sterminio”. La mostra, allestita negli spazi della Biblioteca Bernardini di Lecce, ex convitto Palmieri, fino al 10 febbraio, è corredata da un apparato letterario e da un’ambientazione sonora realizzata con musiche composte durante la prigionia da numerosi compositori, riscoperte e conservate dalla Fondazione Istituto Letteratura Musicale Concentrazionaria.

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