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Lecce: Luciana Castellina presenta il film palestinese candidato all’Oscar

“E’ un film che aiuta a tornare umani. Dobbiamo poterci impersonare in quelle donne, uomini, giovani, vecchi e bambini” così Luciana Castellina, presentando al Festival del Cinema Europeo di Lecce, “Bye Bye Tiberias” il film palestinese candidato agli Oscar.

“Ogni sera, ormai da molti giorni, restiamo attaccati alla TV, paralizzati dall’orrore delle immagini che vediamo. C’è il rischio di abituarsi a quello che passa sullo schermo, di inaridirsi, di restare vittima di una sottile suadente seduzione ad un male rispetto al quale ci si sente impotenti. Bisogna tornare a sentirsi parte di quel dolore che vediamo, tornare ad esser umani anche noi, non semplici spettatori, inariditi dalla distanza che lo schermo induce. Dobbiamo poterci impersonare in quelle donne, uomini, giovani, vecchi e bambini. Parte dell’umanità”. Così Luciana Castellina al Festival del Cinema Europeo di Lecce in occasione della presentazione di Bye Bye Tiberias (Bay bay Tiberiades) coprodotto da Francia, Palestina, Qatar di Lina Soualem che rappresenta la Palestina agli Oscar 2024.

Il film mette insieme immagini di oggi, filmati di famiglia degli anni Novanta e archivi storici per ritrarre quattro generazioni di donne palestinesi audaci che mantengono viva la loro storia e la loro eredità grazie alla forza dei legami, nonostante l’esilio, l’espropriazione e il dolore.

“E’ un film che aiuta a tornare. Sono quattro generazioni di donne palestinesi che si reincontrano  dopo molti anni. Una madre, Ham Abbas, (che lascia il suo paese a 20 anni e va a Parigi dove diventa attrice famosa e lavora con celebri registi come: Amos Gitai, Steven Spielberg, Jim Jarmush. Radu Mihailhaleanu), la sua giovanissima figlia, la prima nata fuori dalla Palestina, diventata regista e che la spinge a tornare. Un incontro fra la nonna, la madre, la figlia e la nipote e molte cugine. Si confrontano, si ritrovano, si raccontano anche scherzando, vicine al grande lago mitico di Tiberiade, che è ancora lì, come sempre. Nessuna di loro appartiene più a quel luogo, né tale lo sentono – dopo esili, espropriazioni, tanto dolore. Ma si sentono tutte ancora e interamente appartenenti alla storia di quel luogo, di quel contesto collettivo”.

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