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Taranto: Coesione sociale e infrastrutture. Dal Pnrr risorse e risposte per il sud.

di Granfranco Solazzo

Segretario  generale Cisl Taranto Brindisi

Il dibattito che, da tempo, ha come oggetto percentuali e risorse finanziarie a disposizione del Mezzogiorno, evidenzia come ci sia sempre un’altra verità persino quando si parla di numeri e non è casuale che la Ministra Mara Carfagna, per mettere al riparo gli 82 miliardi per il Sud del Paese, abbia voluto inserire nella Legge di conversione del decreto Governance e Semplificazioni il 40% dei fondi del Recovery, da destinare appunto a tale scopo.

Nonostante ciò, parecchi sono stati i pareri discordanti, tra tecnici, economisti, politici, che hanno evidenziato come da una attenta lettura delle oltre 200 pagine del PNRR non pare che le risorse assegnate al Mezzogiorno ammontino esattamente a tale cifra.

Noi non intendiamo affezionarci ai numeri, quanto invece alla capacità dell’Italia di riuscire a spendere le risorse necessarie a riequilibrare quel gap infrastrutturale che da decenni separa il nostro territorio dal resto del Paese.

L’art.119 della Costituzione sancisce che “… Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.

In attuazione dell’art.119 è intervenuta la legge 42/2009 e segg, che avrebbe dovuto definitivamente evidenziare ed attuare quella coesione, eliminando le diseguaglianze territoriali e definendo una volta per tutte i Lep (Livelli essenziali delle  prestazioni), la cui individuazione avrebbe consentito oggi la corretta definizione delle risorse, dei progetti e delle infrastrutture per le quali intervenire .

Ma, ancora una volta, il problema si è ripresentato con il decreto n.77 del 31 maggio 2021 sulla Governance del PNRR, che all’art.59 – Disposizioni urgenti in materia di perequazione infrastrutturale – prevede che al fine di assicurare il recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità“sentite le amministrazioni competenti, effettua, limitatamente alle infrastrutture statali, la ricognizione del numero e della classificazione funzionale delle strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, nonché del numero e dell’estensione, con indicazione della relativa classificazione funzionale, delle infrastrutture statali, autostradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali.”

 In relazione alle infrastrutture non di competenza statale“la ricognizione è effettuata dagli enti territoriali, nonché dagli altri soggetti pubblici e privati competenti, entro e non oltre la data del 31 ottobre 20121. La ricognizione effettuata dagli enti territoriali è comunicata dalle singole Regioni e dalle Province autonome, entro e non oltre la data del 31 dicembre 2021, al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri”.

Non sappiamo se le rispettive amministrazioni nazionali e territoriali, abbiano effettivamente, provveduto a tale ricognizione né se essa risulta in itinere.

Nel primo caso sarebbe opportuno conoscere quale sia il risultato della ricognizione effettuata nella Regione Puglia, al fine di verificare quali interventi sono ritenuti effettivamente necessari per una perequazione infrastrutturale che i pugliesi attendono fin dalla nascita della Repubblica.

E, poi, effettuare questa ricognizione darebbe l’effettiva misura di quante risorse del PNRR effettivamente avrebbe bisogno il Mezzogiorno, la Puglia, i suoi territori, Taranto e Brindisi per quanto ci riguarda.

La questione infrastrutturale al Sud è purtroppo conseguenza del gioco della spesa storica del nostro Paese, nella logica che le Regioni più ricche in grado di spendere hanno sempre ricevuto assai più di quelle non in grado di farlo.

Ciò si è rivelato ancora peggio di quanto affermava Don Milani, che“non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali.”

Per essere in grado di progettare e di spendere le risorse derivanti dal PNRR sarebbe opportuna, oltretutto, una reale verifica sulla qualità e quantità di quel capitale umano aggiuntivo di cui dotare gli Enti territoriali, i Comuni in primis.

Fare il contrario significherebbe affidare questa partita delicata ai mille esperti di cui si parla, 70 dei quali in Puglia, da assumere a tempo determinato, senza una verifica degli effettivi fabbisogni e con concorsi effettuati on line con l’incognita di non poterne efficacemente verificare la specifica professionalità.

E lascia basiti leggere sulla stampa principi evocati proprio da chi dovrà sovrintendere al programma del PNRR, ossia che l’obiettivo delle risorse ottenute dall’Europa non sarebbe affatto quello di dare vita ad un programma di inclusione territoriale.

Facciamo fatica, anzi rifiutiamo di considerare tale notizia come erronea interpretazione degli organi stampa quasi che, ahinoi, non avessimo per nulla compreso lo spirito e la lettera del Next Generation Eu.

E’ invece vero che il PNRR, soprattutto nella missione 5 ha ben sancito, tra l’altro, l’obiettivo del “riequilibrio territoriale e lo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree interne”.

Sono queste le ragioni per cui, come Cisl, abbiamo preteso a livello nazionale che il sindacato avesse ruolo attivo al tavolo del partenariato, con pari modello da esportare anche a livello regionale e ci attendiamo che un protocollo specifico codifichi tutto ciò, perché al di là delle risorse in percentuale che dovranno essere assegnate al Mezzogiorno ci interessa come, dove e quali risultati si dovranno ottenere.

Perdere questo treno sarebbe imperdonabile.

Il debito enorme che abbiamo deciso di accollarci, con gli oltre 200 MD del PNRR sarà messo a carico delle nuove generazioni che ne trarranno qualche beneficio solo se verrà consegnato loro un Paese ed un Mezzogiorno per quanto ci riguarda, che riconosca e garantisca i diritti costituzionali di un lavoro dignitoso, un’appropriata assistenza sanitaria, una realizzazione del proprio destino professionale, che non faccia rinunciare agli affetti e, ancor meglio, contribuisca al miglioramento del tasso demografico.

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